Questo post è disponibile anche in: Inglese
Dopo la sharing economy tocca alla second hand economy: genera un punto di PIL e fa risparmiare 300mila tonnellate di rifiuti l’anno.
All’estero la chiamano “Second hand economy”. E’ il mercato dell’usato, un tempo considerato il retrobottega dell’economia per chi non si poteva permettere prodotti nuovi di zecca, per poi guadagnarsi una nicchia nobilitata dal termine vintage. Oggi quel mercato è a pieno titolo considerato uno dei pilastri dell’economia circolare, quella in cui non si butta via niente per il bene delle tasche e dell’ambiente. E vale, solo in Italia, circa 18 miliardi di euro. Praticamente un punto di PIL.
Sarà stata la crisi economica o forse una maggiore coscienza ecologica. Poco importa: la realtà è che adesso, accanto alla sharing economy – quella che ci fa condividere servizi e prodotti come ad esempio l’auto o le biciclette – è risorta l’economia dell’usato.
Doxa ha svolto una ricerca per Subito, uno dei principali siti web di compravendita di oggetti usati: stando ai risultati, metà degli italiani sotto i 45 anni comprano di seconda mano, generando un giro d’affari di 18 miliardi di euro. Il tutto grazie a Internet, la piazza dove avviene il 38% degli scambi: 6,8 miliardi di euro.
Come nel caso della sharing economy, era inevitabile che della second hand economy – poco conosciuta e regolamentata – se ne accorgesse anche il Palazzo. Gli operatori dell’usato – riuniti in un soggetto chiamato Rete O.N.U. – sono riusciti a organizzare un convegno a Montecitorio, “Il valore aggiunto dell’usato all’economia circolare”, coinvolgendo istituzioni, enti e associazioni per dibattere sul futuro del settore del riutilizzo.
Augusto Lacala, presidente di Rete O.N.U., ha sottolineato come “in attesa dei decreti attuativi del collegato ambientale, prendiamo atto del clima positivo nei confronti di una categoria fino a ieri invisibile, pur considerata in Europa uno dei pilastri dell’economia circolare”.
“Il contributo ambientale ed occupazionale che il settore già oggi garantisce, senza alcun riconoscimento in termini di premialità – ha ribadito Sebastiano Marinaccio, Vicepresidente di Rete O.N.U. – potrebbe essere raddoppiato rimuovendo alcuni ostacoli normativi che ne limitato lo sviluppo. Basti pensare che il comparto dell’usato sottrae al mondo dei rifiuti beni per 300.000 tn/anno e che valorizzando la preparazione per il riutilizzo si potrebbe arrivare ad intercettare oltre 650.000 tn/anno destinate al riutilizzo per un valore di 1.300 milioni generando nel solo comparto della preparazione per il riutilizzo oltre 15.000 nuovi posti di lavoro, quasi 22,9 lavoratori per 1000 tonnellate”.
Antonio Conti, Portavoce della Rete ONU, ha tenuto a sottolineare come il settore attenda da tempo delle regole chiare che possano consentirgli di esprimere al meglio le sue potenzialità. “Oggi per la prima volta registriamo un consenso unanime sulle proposte di Rete ONU. Bisogna che questo consenso si trasformi al più presto in cambiamento reale per gli operatori dell’usato. Questo significa più lavoro, maggiore contributo ambientale, maggiore tutela delle fasce deboli e maggior sviluppo economico”.
Per maggiori informazioni relative alle proposte di Rete O.N.U., cliccate qui.
Add Comment