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Il progetto europeo Life+ GreenWoolf verrà presentato il 21 aprile alla Green Chemistry Conference di Cremona.
Può scaldare, sotto forma di coperte e maglioni, ma può anche diventare un fertilizzante. E’ la lana, i cui scarti della lavorazione, secondo una nuova ricerca, possono essere trasformati in sostanze utili in agricoltura.
L’innovativa tecnica potrebbe vedere la luce grazie al progetto europeo Life+ GreenWoolf, che ha come obiettivo quello di dimostrare l’efficacia del processo di conversione attraverso un trattamento di idrolisi con acqua surriscaldata. Il suo coordinamento è stato affidato al Consiglio Nazionale delle Ricerche – Istituto per lo Studio delle Macromolecole di Biella (Torino), partner del progetto sono il Dipartimento di Scienza Applicata e Tecnologia del Politecnico di Torino e l’azienda meccanotessile Obem SPA di Biella.
Il progetto verrà presentato giovedì 21 aprile alle 12.15 in un workshop nell’ambito dei tre Saloni BioEnergy Italy, Green Chemistry Conference and Exhibition e Food Waste Management Conference, a CremonaFiere.
“Attualmente lo scarto della lana tosata alle pecore è considerato un rifiuto – spiega Raffaella Mossotti, ricercatrice del CNR – e come tale deve essere smaltito con i relativi costi a carico degli allevatori. Era quindi necessario trovare soluzioni che puntassero a una valorizzazione di questi scarti e la possibilità di dare vita a un processo che potesse convertire la cosiddetta lana sucida in fertilizzante è parsa una strada percorribile su cui concentrarsi”.
Il progetto riguarda un particolare tipo di lana, quella ottenuta da pecore di razza Sarda, poco sfruttata in campo tessile perché troppo dura e ben diversa dalla più pregiata Merinos, nota per la sua morbidezza. “In pratica, al termine di una nostra prima fase di ricerca scientifica e sulla base di nostre specifiche indicazioni – continua Mossotti – la ditta Obem SPA ha realizzato una macchina, che assomiglia molto a una betoniera, all’interno della quale viene immessa la lana che viene idrolizzata con un getto di vapore a 180°C: a seconda della durata di questo trattamento si ottiene un fertilizzante solido pellettizzabile o liquido. Per il primo è sufficiente un’ora, per il secondo un’ora e mezza”, spiega Mossotti.
L’obiettivo del progetto è mettere in pratica, sul campo, la macchina. E’ per questo che il team di ricercatori sta visitando allevamenti ovini in Sardegna, Toscana, Lazio e Sicilia. “Stiamo riscontrando da parte degli allevatori un notevole interesse – spiega Mossotti – in Sardegna, in particolar modo, molti stanno ragionando sulla possibilità di consorziarsi per acquistare in un prossimo futuro una macchina che possa essere utilizzata da un gruppo di aziende, ammortizzando in questo modo più velocemente l’investimento iniziale che, compresa la caldaia, potrebbe tradursi in qualche decina di migliaia di euro”.
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